10/06/2025
Autore: Sandro
Whistleblowing: una nuova era di trasparenza in Italia
Il 10 marzo 2023 è stato un giorno cruciale per la trasparenza e la lotta alla corruzione in Italia. Con l’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 24/2023, il nostro Paese ha recepito in via definitiva la Direttiva europea (UE) 2019/1937, introducendo una disciplina organica e rafforzata in materia di whistleblowing. Questo termine, che in inglese significa letteralmente “soffiare nel fischietto”, indica l’azione di un lavoratore che, venuto a conoscenza di illeciti all’interno della propria organizzazione, decide di segnalarli per proteggere l’interesse pubblico.
Se in passato la materia era frammentata e offriva tutele disomogenee tra settore pubblico e privato, la nuova normativa unifica le regole, amplia la platea dei soggetti obbligati e rafforza in modo significativo le tutele per il segnalante, il cosiddetto whistleblower. L’obiettivo è chiaro: creare un ambiente di lavoro in cui la segnalazione di un illecito non sia un atto di eroismo isolato e rischioso, ma un diritto tutelato e un dovere morale al servizio della legalità.
L’implementazione di un sistema di whistleblowing non è un semplice adempimento burocratico, ma una scelta strategica che rafforza la governance aziendale, previene illeciti costosi e tutela la reputazione.
Chi è obbligato ad adeguarsi?
La novità più rilevante del D.Lgs. 24/2023 riguarda l’estensione dell’obbligo di dotarsi di un canale di segnalazione interno (piattaforma di whistleblowing) a un vasto numero di organizzazioni.
Nel settore privato:
- Aziende con una media di 50 o più dipendenti impiegati nell’ultimo anno.
- Aziende che adottano il Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) di cui al D.Lgs. 231/2001, indipendentemente dal numero di dipendenti.
- Aziende che operano in specifici settori sensibili, come quelli dei servizi, prodotti e mercati finanziari, prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, sicurezza dei trasporti e protezione dell’ambiente, a prescindere dalla soglia dei 50 dipendenti.
Nel settore pubblico:
- Tutte le amministrazioni pubbliche (come definite dal D.Lgs. n. 165/2001).
- Autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza o regolazione.
- Enti pubblici economici.
- Organismi di diritto pubblico.
- Concessionari di pubblico servizio.
- Società a controllo pubblico e società in house, anche se quotate.
Il canale di segnalazione deve garantire la riservatezza dell’identità del segnalante e del segnalato, la crittografia dei dati e il rispetto del GDPR. La normativa prevede anche la possibilità, per chi ne ha i requisiti, di effettuare segnalazioni esterne all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione).
I pilastri della nuova disciplina: tutela e riservatezza
Il cuore della nuova normativa è la protezione del segnalante. Il Decreto ha introdotto garanzie stringenti per evitare ritorsioni, che la legge definisce come “qualsiasi atto od omissione, anche solo tentato o minacciato, che arreca o può arrecare un danno ingiusto” al whistleblower. Tra gli esempi più espliciti di ritorsione vi sono il licenziamento, la retrocessione, il demansionamento, il trasferimento ingiustificato o la discriminazione in generale.
Per garantire questa protezione, è fondamentale il principio di riservatezza. Il canale di segnalazione deve assicurare l’assoluta segretezza dell’identità del segnalante, del segnalato e delle persone menzionate, gestendo le informazioni in modo crittografato e accessibile solo a personale autorizzato e specificamente designato.
Le segnalazioni possono essere presentate attraverso un canale interno (predisposto dall’azienda o dall’ente), ma anche, in determinate circostanze, attraverso un canale esterno gestito dall’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione). Quest’ultima opzione è prevista in caso di mancata attivazione del canale interno, inefficacia dello stesso o se il segnalante ha fondati motivi di temere ritorsioni.
Le conseguenze della mancata conformità
La mancata implementazione dei canali di segnalazione, la loro inefficace gestione o l’attuazione di ritorsioni a danno dei segnalanti possono comportare sanzioni molto severe. L’ANAC, che ha il compito di vigilare e applicare la normativa, può comminare sanzioni amministrative pecuniarie che vanno dai 10.000 ai 50.000 euro per la mancata istituzione di un canale, l’omessa adozione di procedure di gestione delle segnalazioni o la mancata verifica e analisi delle stesse. Le sanzioni per atti ritorsivi o per la violazione della riservatezza del segnalante sono ancora più elevate, potendo raggiungere i 50.000 euro.
Un cambiamento culturale
Il nuovo Decreto legislativo non è solo un pacchetto di norme e sanzioni, ma rappresenta un’evoluzione nella cultura aziendale e pubblica italiana. Invita a superare la vecchia concezione della “delazione” e a riconoscere il valore del whistleblower come un alleato nella prevenzione dei crimini e nella tutela dell’integrità.
Le aziende e le pubbliche amministrazioni che sapranno cogliere appieno lo spirito di questa normativa non si limiteranno a rispettare un obbligo di legge, ma rafforzeranno la propria credibilità, attireranno i talenti migliori e costruiranno un ambiente di lavoro etico e trasparente. Il whistleblowing, da atto eccezionale, sta diventando un pilastro essenziale di una governance moderna e responsabile, a beneficio non solo dell’organizzazione stessa, ma dell’intera collettività.


